Ateismo e Agnosticismo
Assistere chi non crede
di Raffaele Carcano, Segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostoci Razionalisti (UAAR)
L’assistenza ‘spirituale’ da riservare a pazienti privi di appartenenza religiosa è forse la più difficile da praticare e, proprio per questo motivo, anche la più difficile a essere praticata.
Le confessioni religiose dispongono infatti, seppur non tutte allo stesso modo, di personale specifico da assegnare a tale compito, e i loro stessi fedeli hanno normalmente la consuetudine di riferirsi ai ministri di culto per risolvere i propri problemi esistenziali. I pazienti senza un’appartenenza religiosa non possono dunque accedere a tale assistenza senza far violenza, in piccola o grande misura, alle proprie convinzioni. Le difficoltà si amplificano quando tali pazienti non credono nell’esistenza di realtà sovrannaturali, perché si ritrovano privi di qualsivoglia orizzonte consolatorio. Ciononostante un’assistenza di questo tipo è praticabile: anzi, è già praticata, da decenni, in Belgio e in Olanda. In questi paesi europei, del personale specializzato, formato dalle associazioni in cui si uniscono i non credenti, presta infatti servizio all’interno degli ospedali e, più in generale, in ogni struttura obbligante, come carceri, esercito, ecc. L’assistenza ai non credenti non è ancora ufficialmente riconosciuta in Italia: le istituzioni sembrano implicitamente ritenere che i non credenti, abituati per tutta una vita a cavarsela da soli, non abbiano bisogno di aiuto nemmeno durante la malattia. L’UAAR ha tuttavia già organizzato, e continua a farlo, corsi per formare assistenti in grado di operare negli ospedali.
Se l’approccio è ovviamente alquanto diverso da quello confessionale, comune è invece l’obbiettivo: quello di alleviare o quanto meno razionalizzare la sofferenza del paziente, in particolare quando lo stato della malattia è tale da costringerlo a pensare alla morte come a un evento imminente. L’assistenza nei confronti dei pazienti atei e agnostici è rivolta a pazienti abituati ad affrontare la vita autonomamente: proprio per questo motivo, essa deve essere posta in essere solo quando si manifesta un’esplicita domanda di aiuto. Per lo stesso motivo, il tipo di approccio
nei confronti del paziente potrà solo in minima parte far riferimento a esperienze precedenti, sia del paziente che dell’assistente.
Un appoccio umanistico all’assistenza ai malati sarà dunque basato sul rispetto della dignità di una persona che ha improntato la prorpia vita all’insegna dell’autodeterminazionee consisterà nel prestare un servizio che consenta al paziente di maturare una chiara consapevolezza della propria situazione, ponendolo in condizione di prendere le proprie decisioni in maniera ben ponderata.
Un assistente laico non ha soluzioni da proporre o, peggio ancora, da imporre: ascolta il malato, acquisendo il maggior numero di informazioni utili all’espletamento del proprio compito, e lo conduce pian piano a una migliore conoscenza di se stesso, a una riflessione autonoma nella quale deve intervenire solamente come facilitatore. Egli è, per quanto possibile, sempre al fianco del malato, senza mai farsi latore del proprio punto di vista, ineluttabilmente parziale. L’aspetto più importante da considerare, da questo punto di vista, è che l’assistente non assume un atteggiamento critico nei confronti di qualunque decisione venga assunta dal paziente. Il rispetto dell’autodeterminazione del malato costituisce pertanto sia la premessa, sia l’esito della relazione instaurata dall’assistente, e all’assistente laico è richiesta la capacità di attivare una forte personalizzazione del rapporto, personalizzazione che è tuttavia completamente dalla parte del paziente.
Assistere un paziente non credente significa infatti valorizzare la dimensione etica che ha saputo costruirsi durante tutta una vita, in special modo se le aspettative di poterla continuare sono ridotte al lumicino.
Come ha più volte attestato Umberto Veronesi, chi non ha una fede è in grado di affrontare meglio l’avvicinarsi della morte: questa forza non deve però essere data per scontata o automaticamente estensibile a tutti i non credenti, o ancor peggio costituire un motivo per sottovalutare l’impegno richiesto. Non tutti gli atei e gli agnostici sono uguali: anzi, rispetto ai fedeli appartenenti alle comunità religiose la differenziazione interna è enormemente più alta.
Accompagnare un essere umano negli ultimi istanti della sua vita può dunque voler dire cercare di far leva proprio su quell’autodeterminazione che lo ha caratterizzato per tutta la vita.
L’assistenza può e deve altresì consistere nella rassicurazione che anche i passaggi che faranno seguito al decesso saranno allineati ai desideri del defunto.
Troppo spesso, purtroppo, l’approssimazione e un malinteso senso di attaccamento alla ‘tradizione’ fanno sì che sia la commemorazione del defunto, sia le caratteristiche del luogo di sepoltura del suo corpo non siano minimamente rispettosi delle sue convinzioni. È questo un problema diffuso, che spinge un’associazione come l’UAAR a impegnarsi a fondo per informare la popolazione, ad esempio, dell’esistenza, in diverse città, di sale del commiato dove è possibile commemorare lo scomparso in forma laica, usufruendo talvolta anche di impianti audio/video che contribuiscono a lasciare nei propri cari il ricordo indimenticabile di una persona la cui esistenza è stata, inevitabilmente, unica e irripetibile.